domenica 8 maggio 2016

Erano 8 anni che lo aspettavo - Alex Schwazer fenice dei 50 km

L'amore a prima vista fa fare quasi tutto, compreso aspettare pazientemente e con un ottimismo a volte senza capo né coda. Così ho fatto io nei confronti del marciatore azzurro Alex Schwazer, classe 1984 di Vipiteno, autore di una parziale parabola sportiva da fantascienza, fenice metaforica dell'atletica, anzi, del suo capitolo più lungo e sfiancante. Uno che a 23 anni straccia tutti alla 50 km ai Giochi Olimpici di Pechino nel 2008 col peso psicologico dell'essere il favorito, al top della forma e con un livello di emoglobina da anemico, lutto alla spallina e occhialoni a coprire gli occhi chiari sotto un sole cinese accecante - mentre Elisa Riguado aveva firmato un trionfo di bronzo sotto la pioggia. Poi nel 2012, a pochi giorni dalla competizione appunto nella sua disciplina regina, arrivano i controlli ed il dichiarato uso di Epo, il mea culpa e le scuse in una conferenza stampa diventata confessionale (in cui ha anche detto di non amare la marcia!), la squalifica del Coni, l'addio all'Arma dei Carbinieri, l'inevitabile bye bye degli sponsor, pochissime comparsate in televisione a fianco dell'allora fidanzata, un annuncio a denti stretti della fine della sua carriera di marciatore e maratoneta. Delusione, polemiche, vituperi, anatemi e, da parte mia, un'amarezza sconfinata. Nel 2014 però, Alex riprende ad allenarsi. Ogni tanto i media fanno il suo nome in rapporto a questioni da aula di tribunale ed io sono spesso lì davanti al piccolo schermo a orecchie ritte. A fine aprile di quest'anno la squalifica volge finalmente al termine.
E stamattina appunto, la curva di questa parabola punta di nuovo verso l'alto col primo posto di Schwazer nella 50 km di marcia a squadre ai mondiali di atletica a Roma.
Primo in 3h e 39', seguito dai compagni di team Marco De Luca, quarto, e Teodorico Caporaso, quinto, e ammesso a Rio 2016: al limite dell'incredibile. Io stessa ho stentato a credere a questa bella realtà da film, che fa evaporare gli otto anni passati dalla medaglia d'oro pechinese, eppure qualcosa dentro di me mi ha sempre fatto credere che la carriera sportiva di questo atleta non era ancora finita, che ci sarebbe stato un altro tentativo, un ultimo capitolo. Per i prossimi Giochi non credo che ci regalerà un altro metallo prezioso e anzi i 50 km saranno durissimi per lui, sulla scia dei 32 anni e a gareggiare con giovani leve e altri veterani, ma poco importa. Il bello è tutto quello che c'è dietro al taglio del traguardo di stamattina. Alex Schwazer non ha soltanto regalato all'Italia e ai suoi tifosi un'altra medaglia o spronato tutto un gruppo a fare del suo meglio: ci ha dimostrato che a volte si può sopravvivere e rimediare ai propri errori, mali, ansie, debolezze, irragionevolezze. Avrebbe potuto mollare tutto definitivamente o scegliere una via più facile, meno dolorosa, optando magari per i 20 km - come fece Ivano Brugnetti seppure a causa di infortuni e problemi fisici - e invece si è ributtato anima e muscoli sulla disciplina olimpica più lunga e massacrante. Dal sito della Gazzetta dello Sport, inoltre, un commentatore accenna ai severi controlli cui Schwazer si sottopone da tempo: esami vari, dieta rigida e nessun integratore, il tutto per volere dell'allenatore Donati, uno che dubito si faccia prendere per i fondelli due volte. Poca indulgenza, in parte giustamente per carità, verso questo atleta ritrovato, che ha scontato fino all'ultimo giorno la pena inflittagli. Tanto invece lo scetticismo, nonché ostilità, dubbi e quella ingiusta tendenza a parlare del suo temporaneo (e breve) uso di doping come se non avesse fatto altro nella vita, invece che accumulare km su km dall'età di 15 anni. Da parte di colleghi sportivi vincenti e "semprepuliti" ci sono stati ogni tanto alcuni commenti scottanti, da quello velato della divina Valeria Straneo sei mesi fa a quelli più recenti di uno spietato Gianmarco Tamberi, di una più comprensiva Margherita Granbassi o di un polemico Jared Tallent, marciatore argentato a Pechino e dorato a Londra, piazzatosi poche ore fa alle spalle di Alex ("La percezione che si ha da fuori, è che abbia vinto ancora una volta uno che bara". Ok, ma da dentro allora? Tanto per sapere...).



   Il commento di Tamberi sulla pagina Facebook


http://www.gazzetta.it/Atletica/03-05-2016/atletica-granbassi-schwazer-non-tifero-lui-ma-merita-altra-possibilita-150466916304.shtml

http://www.gazzetta.it/Atletica/08-05-2016/atletica-mondiali-squadre-marcia-tallent-attacca-schwazer-battuto-un-baro-150540266470.shtml

Da adolescente, alle prime sconfitte incassate mi dicevo che è forte non tanto chi non cade mai, ma chi cade e si rialza. Onestamente ne sono sicurissima anche adesso. Prendiamo per buono, poiché è così, quanto ha fatto oggi questo atleta e chiediamoci quanti abbiamo o avremmo fatto una cosa analoga nel nostro piccolo.

3 commenti:

  1. Io credo che sia un grande! Ha sbagliato, ha pagato per il suo errore ed ora è tornato a vincere, che male c'è? Certo, se non si dopava sarebbe stato meglio, ma questa gente repressa che hai beccato su facebook, sarei curiosa di sapere che cosa combinano nella vita..

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  2. Esatto cara!!!! Ma poi, dico, se una persona sbaglia nel 2012, perché parlarne come se lo avesse sempre fatto? E per coerenza, se la stessa fa bene, applaudiamo la invece che crocifiggerla di nuovo! Questo è negazionismo!
    E ad ogni modo, in quella conferenza si vedeva un ragazzo psicologicamente distrutto, non un baro (poi baro di cosa se non ha gareggiato??)... Ma la gente pensa che crisi e depressioni le provano solo i "non famosi"? Che Gigi Buffon e Federica Pellegrini hanno sofferto di attacchi di panico non se lo ricorda più nessuno? E il caso Pistorius? E Pantani? Ma perché non sorridere di e per Schwazer che si rialza e ritorna a grandi livelli? Che poi vorrei sentire i detrattori se davvero a fine agosto ritornasse sul podio... Ci ricordiamo la nazionale di calcio nel 2006? Cori diffamatori a inizio ritiro ma man mano che vincevano toni e testi sono cambiati, eccome.

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  3. Sono congtento che si sia rialzato al di là della positività al doping.
    Credo che nello sport professionistico il doping coinvolga più o meno tutti e che sia solo questione di riuscire a farla franca (lo so, è un commento demagogico, ma in molti sport, tipo il ciclismo o l'atletica, i casi di positività sono numerosi e le prestazioni anche degli atleti "puliti", sovraumane).

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