martedì 29 agosto 2017

Lettura mon amour - libri letti col finale triste/lagrimoso

Ma basta parlare delle mie tristi vicende! Meglio scrivere di altro! E allora, accantonati i missili coreani, l'uragano in Texas e l'ipotesi di razionamento di acqua per la siccità cosa c'è di meglio che parlare di libri giocando a fare la finta intellettuale?

ATTENZIONE, RISCHIO SPOILER!!! Avendo deciso di scribacchiare di libri dal finale triste recentemente letti, progetto che avevo in mente da tempo (anche se un po' si ricollega all'atmosfera del post precedente, lo ammetto), accennerò qualcosa ma cercherò di spoilerare il meno possibile. Al più, limitatevi a sbirciare i titoli!

Chiusure malinconiche ce ne sono a bizzeffe, specie nei grandi classici anche contemporanei. Non finiscono affatto bene capolavori come "Madame Bovary" o i libri sulla guerra di Erich Maria Remarque e Leon Uris, come la recente narrativa storica soprattutto italiana, quindi mi è sembrato giusto decantare conclusioni di opere, sempre del Novecento o di questo terzo millennio, ma di altro genere - tutte però accomunate dal fatto di avermi lasciata con l'amaro in bocca e nel cuore, lagrimucce incluse.


8) "I sommersi e i salvati" - In realtà trattasi di un insieme di saggi in cui l'autore Primo Levi analizza varie "tematiche" della sua prigionia ma risponde anche ad alcune cruciali, dolentissime domande che per anni sono state rivolte a lui come a molti ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento. La tristezza più grande è  indiretta: è l'anno di pubblicazione, il 1986, quindi uno prima del suicidio dello stesso Levi, come se i traumi risollevati durante la stesura avessero ahinoi superato quelli esorcizzati.

7) "La felicità di Emma" - Una trama inizialmente allegra e divertente, che si incupisce quando la gaia eroina trova quello che mancava nella sua vita ma subito si dovrà preparare a perderlo. Malinconia in crescendo con pianto a dirotto finito l'ultimo rigo nonostante il tono lieto e quasi consolatorio.

6) "Gomorra" - Che l'opera top di Saviano non poteva regalare sorrisi e sollievo si intuiva anche prima di leggerla, quindi il capitolo conclusivo sull'occultamento dell'immondizia, che attendevo pur con paura e credevo di avere scampato*, fa male ma non troppo troppo. Quando l'abitudine anestetizza relativamente la sensibilità.

5) "Furore" - Più o meno come sopra. La famiglia Joad ne vede di tutti i colori sin dall'inizio della narrazione e sempre di più, inclusa la terribile constatazione che ovunque è una terribile lotta dove spesso i grandi sacrifici portano pochi, piccoli frutti e le difficoltà sono sempre in agguato. Finale strano appena addolcito da un frammento di speranza in mezzo ad una catastrofe naturale. Giuro di aver rimandato e rimandare la visione della trasposizione cinematografica per paura di starci troppo male.

4) "Zio Cardellino" - Una storiella partita in sordina, semiseria, che però si sviluppa in modo sempre più verosimile e tetro a cominciare dalla cattiveria e piccineria di chi dovrebbe capire o almeno aiutare, con l'inarrestabile ascesa del protagonista fino al suo piccolo paradiso di follia senza biglietto di ritorno. Chiuso il volume, sono stata immobile per dieci minuti.

3) "Il nome della rosa" - In questa superba opera definita "senza genere" il grande Eco dispensa cultura, storia, filosofia, originalità, acutezza, ironia e gran letteratura ma nell'ultima parte anche un amore impossibile, un terribile, allegorico? incendio e le riflessioni esistenziali della voce narrante, quel tanto per abbattermi ogni traccia di buonumore - e avevo già visto il film, me sciagurata.

2) "Cent'anni di solitudine" - Già il titolo la dice lunga su questa pietra miliare della letteratura mondiale e punta di diamante del cosiddetto realismo magico. Non è allegra la vita della lunga dinastia della famiglia protagonista né del villaggio Macondo, ma durante la sesta generazione tutto quanto inizia a precipitare e malinconia e tristezza subiscono un innalzamento esponenziale. Da prendere a schiaffi Josè Arcadio, bugiardo, godereccio e dolorosamente scialacquatore, punito e tradito con una morte orribile e umiliante anche per me che leggevo; triste, fraudolenta e fastidiosa (anche per qualche ricordo riportato alla memoria) la parabola amorosa fra Aureliano e Amaranta Ursula la cui passione cieca e senza sosta si dissolve ancor più velocemente di come era iniziata; terribile e soffocante l'inesorabile cosmogonia al contrario di eventi e teorie in cui il libro si chiude come un gorgo, una malefica profezia (via via citata nel libro, che all'ultimo non ricordavo: al danno la beffa!) che si avvera con tanto di soggetto passivo come estremo testimone e vittima che pure aveva fatto il possibile per capirci qualcosa prima.


1) "Il barone rampante" - La vicenda in sé per sé è buffa e strappa vari sorrisi ma è la rassegnazione della voce narrante, per tutta la storia ma soprattutto nel finale, ad avermi letteralmente inquietato e addolorato. Giunti alla conclusione, il protagonista mi è sembrato semplicemente schiavo di un capriccio coltivato per orgoglio e per finta ribellione mentre la voce narrante, il fratello minore, si ritrova a subire per primo tutto questo e nonostante ciò a raccontarlo nella maniera più distesa possibile. Forse avevo qualche nervo scoperto quando lessi questo volume perché come per "Furore" e "Cent'anni di solitudine", ero nel bel mezzo della mia aestas horribilis di neanche un lustro fa, fatto sta che per questa opera di Italo Calvino ho singhiozzato e versato lagrime, svuotata e depredata, prima ancora di leggerne l'ultima parola.

*http://normopesoadieta.blogspot.it/2013/10/dopo-saviano-mi-ha-fregata-anche-la.html

La quiete prima della tempesta ignota

Il dolore è stato giocoforza messo a tacere ogni volta, di quelle 3-4 al massimo, in cui spengevamo la luce e richiudevamo quella porta di quel garage. Dentro quest'ultimo, in mezzo ad oggetti a noi alla fine estranei, gli scampoli, i frammenti, i pezzi quasi infiniti del puzzle imperfetto che era il nostro domicilio piemontese. Scatole di un mancato trasloco del 2014, che non si sa più dove siano esattamente e cosa contengano di preciso, e dell'altro, avvenuto seppure con più ritardi, dello scorso autunno.

Dolore è una parolona, lo so. Allora è meglio dire fastidio, malinconia, disagio. Si, così è meglio. Ma anche un senso di leggero soffocamento, angoscia, impotenza, rimpianti, rimorsi e anche un pelo di ansia - nel dover aspettare ancora, non si sa per quanto, e resistere al non poter pianificare praticamente niente, come barche in mezzo al mare (cit.). La rabbia, ovviamente, c'è e anche a fiumi, fiumi di rabbia, non di porpora, anzi fiumi di rabbia color porpora, ma è meglio metterla a tacere. Anche perché è un sentimento che 1) ti avvelena il quotidiano e già io ho più fiele di un serpente di mare cornuto e 2) raccoglie molta sordità e ti rimbalza addosso convertita in banalità: ma dai, abbiate ancora pazienza, col tempo si risolve tutto, fra poco (???) sarà tutto finito.... Eccerto, siam tutti £in0cchi col kul0 degli altri (cit.).

Ancora pochi giorni, forse poche ore. La vita è strana ma non credo ci vorranno addirittura pochi minuti e poi non siamo abituati ai regali della sorte. Ancora poco comunque e si scriverà un altro capitolo di storia di vita. Non vedo l'ora, ovvio.

Chi indovina le coltissime citazioni avrà tutta la mia stima -:D