venerdì 24 aprile 2015

Rivedere "Roma città aperta" e innamorarsi di nuovo

Durante la settimana qui nella mia città piemontese non c'è ovviamente molto da fare, non che abbia grandi esigenze, affatto. Ma lunedì pomeriggio, ritornando da un giro in centro a piedi e passando davanti al cinema d'autore verso casa mia, ho visto questo 


e già sapevo benissimo cosa avrei fatto mercoledì sera.
Dire che ero emozionata è poco: avevo già ammirato questo capolavoro di Roberto Rossellini all'università per l'esame di storia e critica del cinema, ma a dire il vero avevo confuso gli attori maschili, rovinandomi la comprensione della trama...che dire, ero fusa per le tante ore di studio quotidiano!

Stavolta invece tutto mi è apparso chiarissimo: a parte la bellezza delle scene, così pulite e perfette anche grazie al restauro, mi sono goduta a pieno la semplicità della trama - un comunista in contatto con le forze badogliane braccato dai nazisti e aiutato da altri resistenti - che intreccia via via tanti personaggi amabili, primo su tutti la popolana Pina impersonata da un'Anna Magnani suprema e incantevole, vera e genuina dall'accento romanesco al modo di allacciarsi il golf, ma gigantesco anche Walter Chiari, cui non si può fare a meno di affezionarsi minuto dopo minuto, il tutto in un contesto storico delicatissimo e drammatico, come quello dello status di città aperta ad un invasore quale appunto era la capitale, presa dai tedeschi (che comunque non lo riconobbero ufficialmente) e in attesa degli americani. D'altronde la sceneggiatura è stata scritta da Sergio Amidei con la collaborazione di un giovanissimo Federico Fellini.
Rossellini dimostra anche grande intelligenza e maestria nel far vedere dettagli di storia, costume e società cui ovviamente i manuali scolastici non parlano: la paura nel girare per strada, la fatica nel procurarsi del cibo anche se si tratta di semplice pane nero, il caffè che non è caffè e chissà cosa sarà stato, l'uso più o meno legale delle "droghe" (ricordiamoci che sono gli stessi anni in cui la morfina fa sfracelli, diventando ben presto la coperta di Linus della grande Edith Piaf), la prostituzione delle italiane fatta vedere anche in "Germania anno zero" ai soldati tedeschi avventori delle sale da ballo e dei locali notturni, l'indottrinamento dei teutonici (a braccetto con la loro freddezza, alterigia e "italofobia") circa la loro presunta superiorità come popolo.
E il primo e ultimo punto di forza di questo film è proprio lo stile realista che non addolcisce né enfatizza niente ma descrive, "fa vedere" come erano le cose. Non che manchino momenti sentimentali, come potrebbero!, ma sono narrati con occhio partecipe ma asciutto, senza idealizzazioni. Un po' arditamente paragono la morte di Pina, forse la scena più famosa e diffusa del cinema italiano, ad un Caravaggio in movimento, più precisamente a quella Madonna distesa in una posa del tutto spontanea, senza aggiustature, coi piedi nudi e il braccio cadente che tanto ho visto nei libri e che ho potuto contemplare con gioia al Louvre.

Sono stata felice e onorata di aver potuto rivedere questo film e stavolta non su computer o televisore, ma proiettato in un grande schermo, con oltre trenta persone interessate e silenziosissime come me e anzi consiglio a tutti ne avessero l'occasione di vedere almeno un film di questo genere, belli e autentici oltre che immortali.

Nessun commento:

Posta un commento