giovedì 6 settembre 2018

Piccoli intoppi di agosto: arrivederci bancomat


Nel mio agosto 2018, più tragicomico di quanto potessi immaginare, ci sono stati anche quattro giorni di disagio e ansia per un "inconveniente" col bancomat. In altre parole, mi sono data la zappa sui piedi per ignoranza e mi sono dovuta barcamenare per rimediare, con mille patemi in testa.

Con più trasparenza, dirò che il sabato prima di Ferragosto, alle 16,25 di un pomeriggio urbano bello assolato e deserto, mi sono fatta "mangiare" il "caro" tesserino dall'apparecchio.

Dovevo prendere il pullman per andare a casa dei genitori di Davide, a mezz'ora dalla mia città, e che credevo partisse alle 16,30. Ma prima, prelevare e acquistare il titolo di viaggio - il tutto nell'arco di un centinaio di metri.
Intanto vedo il tabacchino chiuso, quindi so già che dovrò andare una trentina di metri oltre la fermata a fare il biglietto ad un altro tabacchi, sperando nella sua apertura. Andata a prelevare, noto che la struttura è cambiata: c'è una cabina con le porte vetrate che si aprono solo se si inserisce il bancomat. Entro, ok, prelevo, ok, riprendo il bancomat, ok, guardo l'ora e sono le 16,24, ok, chiedo il riepilogo delle ultime dieci operazioni, ok, esco dalla cabina, ok…"ma dove ho messo il bancomat?". 
Frugo in borsa, in tasca dei bermuda, nel portafogli. Non c'è, non lo trovo. Principio di panico, sudo leggermente. Alzo la testa e dal vetro della porta vedo la schermata che mi sollecita con tanto di luci lampeggianti a ritirare il mio bancomat entro trenta secondi, dopodiché vedo quest'ultimo sparire, inghiottito dal diabolico marchingegno. Mi sembra di sentire un blando bisogno di urinare. 

A posteriori ho immaginato le grasse risate di coloro che avranno visionato eventuali filmati di eventuali telecamerine nel vedere me cercare di riaprire le porte schiacciando alla cieca ogni cosa che assomigliasse ad un pulsante e poi provare a forzare le porte stesse, con manine da Monty Burns. Un gatto che si arrampicava sugli specchi, insomma. E che doveva ancora fare un biglietto e prendere un pullman, nel sabato precedente Ferragosto.




Il buonsenso mi fa smuovere: qualche soldo ce l'ho e intanto ok, il bancomat ormai non me lo ruba nessuno, il pullman non è mai in orario figuriamoci di sabato, quindi meglio agire. L'altro tabacchi è aperto e con un solo cliente prima di me, prendo il biglietto duolendomi dell'inatteso aumento di prezzo, arrivo alla fermata e scopro che il pullman sarebbe passato addirittura alle 16,36: l'ultima amarezza per una fretta inutile e dannosa che si aggiunge a quella della totale inesperienza con quel tipo di bancomat, avendo sempre e solo prelevato da quelli "a cielo aperto". Mi sfogo raccontando tutto per messaggio a Davide, vedo le spunte blu e nessuna risposta ma va bene così.

Ansia, sgomento e un lieve sentore di gastrite mi divorano: come e soprattutto quando potrò riavere il mio bancomat? Quando chiuderà la mia banca? Ce la farò in tempo, considerato che dopo Ferragosto partiremo per un weekend al Meridione? E che al ritorno voglio incastrare un appuntamento di lavoro? E che prima di ripartire per la Romagna vorrei passare a trovare la mia amica piemontese? E se non me lo ridanno, il dannato tesserino, se devo aspettare troppo tempo, come faccio con i soldi???

Menomale che il mio dopocena è stato divertente e rilassante: dopo un po' di musica dal vivo accompagniamo mio cognato in una discoteca dove lo attendono suoi amici, che si rivelano essere conoscenti di Davide oltre che tipi piacevolissimi. Impossibile non distrarmi: facciamo le quattro in allegria - e rifiuto anche il "famoso" bicchiere di Cocacola!

La sera dopo incontro una mia amica sorella di una dipendente della banca in cui avevo il conto. Ricevo così alcune importanti dritte: l'istituto è aperto anche il 14 e quindi è meglio provare a chiamarli. 
Mi tranquillizzo un po', poi la mattina successiva, al mare con mia suocera, chiamo il numero adibito e mi rispondono e confermano che avrei potuto risolvere tutto l'indomani alla sede dove avevo aperto il conto, entro le 12,30 essendo il 14 agosto un prefestivo; mi avrebbero bloccato il bancomat e rifattomene un altro nuovo di pacca. 
Sollevata, espiro, programmo mentalmente spostamenti e incastri, avverto Davide per sms e finalmente mi godo sole e mare facendo anche il bagno. 
Dopo pranzo mi faccio una bella doccia cui seguono shampoo e pettinatura antiparassitari, perché come noto sei-sette giorni prima mi ero scoperta infestata da pidocchi del capo. 
In nottata torniamo a casa dei miei.

La mattina seguente arrivo in banca ad un orario dignitoso nonostante un po' di traffico e scarsità di parcheggi. 
Poca fila per le consulenze, l'ultimo scoglio è chiarirsi con l'impiegata, gentile ma sovrastante: 
V: "Ho perso il bancomat e…"
I: "Ma dove lo ha perso, scusi?"
V: "Me lo ha ritirato l'apparecchio in via De..."
I: "Ah no, qui non ce l'abbiamo, ce l'hanno loro…"
V: "Si, me l'hanno dett…"
I: "...e per riaverlo dovrà aspettare almeno due mesi perché c'è tutto un iter terribile…"
V: "Si, me l'hanno d..."
I: "Noi però glielo possiamo bloccare…"
V: "Si infatti, me l'hanno detto per telefono, potete bloccarlo e farmene uno nuovo in poco tempo"
I: "Ah, bene! Si accomodi, la servo subito".
Venti minuti neanche e mi riavvio alla macchina con le buste con bancomat e codice nuovo. 
Anche questa è fatta, ma che fatica, che stress, che ansia!!!

mercoledì 5 settembre 2018

Come si cambia a tavola - sono una ex PepsiCocacolista



Non più, ah-ah!
Cinque mesi in Romagna e la mia alimentazione ha subito un discreto cambiamento, con risultati positivi anche sul mio fisico oltre che sulla qualità della vita. Roba che se le cose fossero andate quando dovevano andare, a quest'ora sarei un figurino, ma vabbeh.
Qui nella mia nuova città e in questa seconda fase della mia convivenza, lontana quindi dalle abitudini del mio nido genitoriale, ho avuto la forza, l'estro e la voglia di dire qualche NO, un importante MAI PIU' e accogliere invece nuovi commestibili con sempre maggiore frequenza.

Ecco intanto gli alimenti che ho fortemente limitato:
- lo zucchero nel caffè: ciaociao, meglio i dolcificanti naturali! Rimane però nel caffelatte, troppo buono :D
- i biscotti "grassi" da colazione stile Mulino Bianco: ho finito con grande calma il pacco che i miei mi diedero in primavera occultandolo fra i bagagli, non ho ancora avviato quelli che mi hanno rifilato svelti come prestigiatori ora a fine agosto. Fatto sta che qui non ne ho più comprati, eheh
- i merendini: niente più treccine, mentre le ultime confezioni di plumcake e brioche presi erano integrali e al miele!
- i salami: ne stiamo consumando uno regalatoci da un amico solo dal ritorno dalle ferie estive, ma prima neanche il più goloso dei cacciatorini!

Mangio inoltre meno pane soprattutto per il fatto che...non lo compriamo! Ci accontentiamo delle confezioni di pane a cassetta a fette all'inglese, che tostiamo regolarmente.

Magno cum gaudio ho invece dato un taglio totale, definitivo, inamovibile a
- dolci come crostate e ciambelloni specie confezionati che a casa mia mangiavo per inerzia o "per finirli" per induzione/ educazione
- bibite zero zuccheri/calorie, palliativo placebo degli ultimi mesi fra le mura genitoriali, adios!
- bibite energetiche, puah
- bibite gassate zuccherate e soprattutto…



Non l'ho mai bevuta ma...orrore!
   
I sacchettini si riferiscono, ovvio, allo zucchero contenuto nel corrispettivo prodotto

- ...Cocacola e Pepsi!!!!!! Le mie droghe, la mia cosa che più somigliava ad una dipendenza!!! Ridotte già da due anni per il matrimonio di mia cugina (che mesi prima mi disse di perdere "tre chiletti") e ora mai più toccate dal pranzo di pasquetta del 2 aprile, mai mai mai, né per una pizza, né per il più goloso degli hamburger, neanche in un ipotetico Cubalibre! Ne ho pure sdegnato un bicchiere pieno, offertomi da mio cognato in una nottata in discoteca, nonostante la lieve arsura! E udite udite, ho indotto i miei a non comprarla più: ad agosto nel frigorifero non ne era rimasta neanche una misera lattina da 33 cl!! Basta zuccheri inutili, basta caffeina superflua! Ovviamente mi sono risparmiata l'illusione dell'assaggiare la Cocacola alla stevia, se la cacciassero dove dico io!


44 cucchiaini di zucchero in meno, per me
   
Mi sono risparmiata anche questa, per fortuna!

   
Perlomeno, la frutta non contiene caffeina e additivi chimici!


- l'Estathè non fa più notizia, non lo bevo già da anni: è cemento puro per la cellulite!

Gioisco per queste decisioni alimentari, che stanno significando molto per me sia simbolicamente che all'atto pratico: non solo mi sento pienamente adulta e mi risparmio veleni che il mio fisico e organismo non merita(va)no, seguendo in parte i consigli per mia mami della nostra dottoressa dietista, ma ho dimostrato a me stessa di saper cambiare in meglio e potermi controllare, dalla spesa all'ordinazione al ristorante, anche partendo da queste piccole, infime cose!

domenica 2 settembre 2018

"Tonya", una storia di violenza made in USA


Lo so, sarò l’ultima persona che si definisce cinefila ad aver visto “Tonya”. Ma la passione è passione e non posso astenermi - dopo mesi senza parlare di cinema - dal dire la mia su un film, una biografia realistica non patinata, una bella storia psicologica piacevoli come non mi accadevano da tempo.
Questo è il racconto della parabola di Tonya Harding, pattinatrice realmente esistita ed esistente, prima ascendente e poi discendente a causa dell’aggressione ad una rivale verso la convocazione in nazionale per i Giochi Olimpici, ma è soprattutto una storia di violenza totale: psicologica, fisica, verbale, relazionale, economica. Un sogno americano a metà, dove le ambizioni e la voglia di diventare qualcuno non riescono a prevalere sulle negatività.
Premetto che mi ricordo della vicenda Harding quando avvenne nel 1994: fece molto scalpore all'epoca e venne persino citata nel film "Assassini nati" di Oliver Stone come significativa riprova della violenza (oltre che del fanatismo dei media) all'interno della società statunitense.


La protagonista nasce e cresce con una madre a dir poco anaffettiva ma soprattutto rigorosa e spietata, che intuisce la passione della figlia per il pattinaggio artistico su ghiaccio e ce la manda per togliersela di torno; dopo pochi mesi però si viene a sapere che la bimba ha persino un grande talento e inizia a distinguersi dalle rivali.


Inizia così un ricatto globale fra madre e figlia (giacchè il caro padre fa fagotto) dove violenza alimenta violenza: io madre sgobbo come cameriera per mantenerci e ti torturo per farti allenare duramente e tirare fuori il tuo dono e fartene una fonte di guadagno, tu figlia devi sottostare a tutto, allenarti duramente, tirare fuori il tuo dono e fare anche qualcosa di unico come il triplo axel, diventare famosa e magari ringraziarmi, chissenefrega se il prezzo che devi pagare è una scarsa autostima, una costante insoddisfazione, una rabbia di fondo, una tendenza alla frustrazione e alla negatività e zero concetti come soddisfazione di sé e per sé, sportività, fairplay, rispetto per gli altri, cautela, grazia, armonia, autocontrollo, diplomazia, stoicismo – anzi, qui la filosofia non è mai esistita, chissà che avrebbe detto il patriarca di “Il mio grosso grasso matrimonio greco”.

In questo violento dialogo fra sorde che caratterizza la prima parte della storia, l’unico sano consiglio che la madre LaVona poteva dare, imponendolo o ribadendolo, alla figlia Tonya, consiglio che da una parte non viene dato e dall’altra ovviamente non viene intuito minimamente, era non legarsi al suo futuro marito Jeff, un finto timido in realtà represso violento con un collega di lavoro/amico (giacchè in quella miseria morale e culturale prima che economica il collega diviene come un amico anche se è più feccia di te… schifosa società non solo americana), Shawn, ancora più vuoto, immorale e purtroppo bugiardo mitomane. Proprio Shawn è una figura da non sottovalutare in questa storia: da una parte sprona Jeff a provarci con una 15enne Tonya, poi contribuisce in maniera pesante agli eventi facendo però di testa sua, che come si intuisce è tutta marcia.

Un altro dialogo fra sordi, indirettamente violento, è fra Tonya e i giudici che visionano le sue imprese: due lingue diverse, con presupposti, mentalità, obiettivi diversi se non opposti. Lei voleva essere se stessa ed essere giudicata solo per le sue doti e i suoi saggi, loro volevano un'immagine buonista, pollitically correct, preconfezionata e piuttosto retrò di perfezione, a cominciare dal contorno familiare, dove la bravura poteva anche venire per seconda.



La narrazione degli eventi, che prende spunto dalle interviste fatte ai vari attori di questa vicenda, gioca molto sul fatto che ognuno "ha" una sua versione della verità come riflette la stessa protagonista alla fine del film, tanto che in alcuni flashback di episodi di violenza, forse per stemperarne la tensione, la Tonya del passato commenta per quella del presente, carnefice indiretta e vittima impura della situazione.


Non ci vuole molto però per capire che in realtà ognuno vuole dare (ben diverso dall’avere) una certa verità nel senso di personale versione/visione dei fatti, nessuno è stato completamente sincero, anche se non è difficile intuire quando Tonya mente agli altri come a se stessa come quando giustifica maldestramente alcune cattive esecuzioni.
Sempre a proposito della radice violenta della società statunitense, a fine film viene evidenziato il turnover di morbosità dei media a stelle e strisce, che declinano le loro attenzioni sul caso Harding per rivolgersi a quello Simpson, bello fresco di giornata.


Quale potrebbe essere il peggior difetto di Tonya? La madre, l’imprinting, l’ostinatezza nel praticare uno sport dove oltre al talento bisogna avere una certa immagine e "stare al gioco" per accontentare giudici e pubblico, la debolezza nel riavvicinarsi al marito nonostante le numerose botte? Forse un po’ tutti questi, ma il pregio almeno secondo me è nell’essere nonostante tutto una cattiva a metà e poi boh, sarà merito del regista (che ha il cognome come una marca di birra) ma nell’ultima scena dove l’ormai ex pattinatrice e novella pugilessa va al tappeto, sanguina, apre gli occhi e si rialza per continuare a lottare, mi ha dato un brivido di positività, nonostante l’aura nera della canzone di Iggy Pop mista alle vere immagini della Harding.

Bravi gli attori, ma detto fra noi ritengo che la statuetta sarebbe dovuta andare a Margot Robbie, nel 2016 meravigliosa Harley Queen e adesso straordinaria ed espressiva nei panni della Harding, piuttosto che ad Allison Janney, che interpreta una madre indubbiamente odiosa ed efficace, ma al limite del monofaccismo.