giovedì 9 gennaio 2014

Il mondo secondo Vanessa - l'affaire Paris

Esordisco dicendo che sabato pomeriggio, all'indomani del mio ritorno da Parigi, mi telefona la compagnia che si era occupata dei bagagli smarriti a Malpensa e mi comunica che alle 19 mi avrebbero portato direttamente a casa il mio trolley, yeeeeeee!!! E ovviamente non mancava niente - semmai mi stupisco che non mi abbiano fatto una colletta solidale :D ! Tutto salvo dunque: dai vestiti ai trucchi, BB Cream inclusa <3, fino agli adorati ricordini e mappe del Louvre!


Ora nelle mie intenzioni c'era quella di riassumere la mia 5giorni parigina con alcuni scatti tra i duecento che ho fatto, ma il mio pc per adesso si rifiuta di pubblicare i miei capolavori, quindi mi limiterò ad una recensione scritta per paragrafi.


Bellezze artistiche e architettoniche. Poche storie, Parigi è praticamente un museo a cielo aperto. Bello il Centre Pompidour, Notre Dame, la Tour Eiffel, la Bastiglia, il Liberty delle fermate della metropolitana, i fregi e le decorazioni di numerosi palazzi, ma una cosa che mi ha mandato in delirio è stato, all'Arco di Trionfo, girarmi verso ovest e vedere in lontananza la Dèfense con la Grande Arche a far da padrone, e poi constatare che dalla parte opposta, a est, al termine degli Champs Elysees e dopo place de la Concorde, ci sono i Jardin des Tuileries e infine il Louvre. Qualcosa come nove chilometri di meraviglie, tutte allineate. Standing ovation per l'urbanista.


Il Louvre. Praticamente è l'equivalente museale della suonata per pianoforte Rach 3. Ovvero un qualcosa di grande e possente, variegato e complesso, che va studiato e gestito con somma attenzione, altrimenti ti seppellisce, ti fa impazzire. Per me il palazzo espositivo più famoso e forse più visitato al mondo è questo e scomodare questo paragone pseudo colto (prendendo in prestito le battute del film "Shine") mi sembrava meno banale che se avessi usato altre parole. Mi ero messa d'accordo in precedenza col mio ragazzo: il 2 gennaio alzataccia, fila al Louvre, biglietti, cappuccino da Starbucks e poi nelle zone Denon e Sully a vedere l'arte egizia, la greca, la romana e la galleria dove c'è la Gioconda, stop. Nient'altro, mica siamo bionici. E così è stato. Poche cose gustate al massimo, per una come me che è laureata in storia dell'arte è stato un sogno a occhi aperti, una cuccagna, un'esperienza che ti fa vedere tutto il resto più piccolo e mediocre. Lucciconi e singhiozzi per i Canova e la Venere di Milo, emozione per Prassitele e i marmi del Partenone, curiosità e stupore per gli incredibili corredi dei faraoni, per non parlare dei sarcofagi iper decorati e intarsiati e di una mummia vera (!!!); amore a profusione per Raffaello, Leonardo, Giotto, Caravaggio, cui hanno "tradotto" il nome, pessimamente e pateticamente. E un pensiero fisso: senza i lavori dei pittori italiani, questa "baracca" vedrebbe dimezzarsi visitatori e introiti; invece noi visitatori eravamo lì a frotte, con in media due orette di fila sulle spalle solo per entrare, ad alternarci pazientemente in tutto: a vedere le opere, a fotografarle, a fotografarcisi accanto, a spostarsi da una sala all'altra, per non parlare delle code per il wc, il guardaroba e il bar, oltre che per la biglietteria. Un secondo pensiero fisso: se noi italiani rimpiangiamo i quadri dei nostri connazionali (che però alla fine è bene che abbiano un simile palcoscenico, battutacce a parte), non oso pensare a quanto si siano mangiati le mani egizi, greci e forse anche turchi (quando nel 1800 lo scozzese Lord Elgin spogliò il Partenone, lo fece col permesso del sultano turco, poiché la penisola ellenica ai tempi era sotto di esso...si sarebbe resa indipendente 27 anni dopo) nel vedere o nel capire cosa gli era stato portato via.


Il contrappasso al ristorante. Come a volte ho sentito dire di prezzi di pranzi e cene gonfiati o addirittura dilatati agli stranieri nelle grandi città artistiche nostrane, così mi sono sentita chiamata in causa per un maligno contrappasso per analogia quando ci hanno trattato poco bene in un paio di ristorantini in zona Centre Pompidour. Niente di stratosferico, per carità, però qualche porcata qua e là l'abbiamo ingoiata: una volta in fondo al conto ci hanno aggiunto l'iva, che là è al 19%, col dubbio che ce l'avessero fatta pagare doppia; un'altra non ci hanno portato l'acqua ma ce l'hanno addebitata, e nel riconteggio successivo ci hanno aumentato di un euro il vino (sigh); un'altra abbiamo pagato 5 euro 33 cl di Evian e 4 un caffè - come da menù, per carità, però ad una coppia francese vicino a noi hanno portato una maxi caraffa di acqua probabilmente gratis. Avrei anche un paio di schifezze da raccontare riguardo il servizio e la fattura dei piatti, ma lascio perdere. Mi perdonino i salutisti, ma per questo preferisco mille volte di più i fast food: almeno so quello che mi danno, il servizio è pressoché neutro  oltre che veloce e i "commessi" non smaniano di arrotondare alterando il conto dei giovani turisti stranieri - e posso prendere un buon panino da 1,95 euro senza sentirmi guardata come una pezzente.


La multirazzialità. Parigi è anche questa: tante persone di tanti colori. E' una banalità, forse, ma non per chi, come me, ha vissuto fino a poco fa in una città con al massimo una ventina di neri o mulatti. Non sto parlando dei venditori di souvenir sotto la Tour, no, ma di famiglie intere di 4-5 persone, tutte con la pelle nera, che vanno a fare la spesa o al museo o all'aeroporto; ragazzine francesi che in metropolitana si dividono segreti e auricolari dell'ipod con coetanee asiatiche; adolescenti dalla carnagione più o meno scura con abbigliamento, trecce e acconciature degne del Queens; tante coppie miste, giovani e adulte, tipo lei bionda platino e lui magrebino o lei mulatta e lui castano cenere con occhi blu. Ogni tanto capitava di vedere neri alti e magri, vestiti da manager con tanto di valigetta e iphone, o ragazze arabe con l'hijab riccamente vestite che uscivano in gruppo da hotel 5 stelle o da auto di lusso piene di pacchetti di negozi famosi, tutte sorridenti e rumorose.


La diversità dei francesi. Sono un po' diversi, lo scrivo sorridendo. Non sono tutti alla moda, ma sono stilosi, specie le donne, non c'è niente da dire. E hanno una disinvoltura tutta loro, sarà il nazionalismo, bah. In particolare ho notato le ragazzine. Solo in Francia e specie a Parigi se ne possono vedere con scarpe e borse in cuoio marron glacé (di quelle che in Italia andavano di moda fino a metà anni '90) o con mini borsettine vintage in pelle e ballerine bassissime che sembrano rompersi da un momento all'altro, portate sopra cappotti anonimi ma azzeccati o giacconi a vento consumati, e tante, quasi tutte con capelli lunghi sciolti e un'aria spesso imbronciata, scontrosa; smalti e rossetti per lo più rossi, un classico; quasi nessun taglio strano, o colori azzardati, sia per le chiome che per i vestiti. Sembrano delle piccole adulte, un po' smorfiose e snob ma bellissime, specie quando sorridono.


Fa freddo ma ci si veste poco. Per questo Parigi mi ha ricordato Londra. Ho visto diverse persone poco coperte, nonostante i 5 gradi (o forse meno, bah) e il vento quasi perenne. Ricordo in particolare una coppia di uomini in bermuda di jeans e infradito che portavano fuori i loro carlini a mezzanotte, ma quanti i ragazzi in camicia e giacchetto a vento e le ragazze, immancabili, in minigonna o shorts con soprabiti spesso aperti e tacchi alti, specie la notte del 31! Alcune avevano delle pelliccette sintetiche, ok, che però non arrivavano a coprire neanche mezzo sedere. Sciarpe e cappelli? Non a San Silvestro, non la sera per locali, giammai. Tutt'al più un foulard sottile come bava di ragno.


La metropolitana come macchina del tempo. Abbiamo camminato come frustoni, ma quando la stanchezza non lasciava scampo, trovare una stazione della metro e studiare un tragitto per andare nel posto X o in albergo era come trovare l'oro, specie col freddo o con la pioggia. E così, quasi magicamente, ci trovavamo trasportati da un punto all'altro della capitale francese in pochi minuti, anche facendo due cambi di treno, mentre magari il primo giorno già farne uno sembrava chissà quale intoppo, quale complicazione. E girare per quei corridoi, facendo attenzione a barboni e mendicanti e ogni volta gustandosi l'incredibile selva umana parigina, tra manifesti di mostre, spettacoli teatrali e alcolici (bellissimi i bicchieri del Ballantines con "isola" centrale), era un avvincente divertimento.

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