Non siamo tutti uguali. Per tale motivo, l'ideale sarebbe assumere per ognuno un atteggiamento leggermente personalizzato o, più semplicemente, un certo rispetto per esigenze, desideri, necessità, volontà.
Lo so che la mia argomentazione odierna è una grossa banalità, ma trovo ancora più grossa l'assurdità di certe situazioni in cui mi ritrovo anche adesso che non ho più dodici anni.
Mi spiego: ieri mi sono fermata a pranzo dalla mia prozia (dopo averle riportato a casa la nipotina da scuola), una casalinga dolce, amorevole e iperlavoratrice, di quelle che a quasi 80 anni ancora cuce, lava, ripara, pulisce, cura giardino e orto, rassetta e, soprattutto, cucina. La decisione di mangiare da lei era dovuta al fatto che nel primo pomeriggio avrei portato la ragazzina a danza. Purtroppo, come altre volte - non numerose per mia fortuna - mia zia ha cercato di maggiorarmi le dosi nel piatto, dalla pasta al contorno. Ahimè ho dovuto cimentarmi in DUE infantili braccio di ferro verbali del tipo "prendi un altro pezzo di X - no grazie zia - dai prendine ancora - no grazie zia - dai prendine ancora - no grazie zia davvero davvero davvero", con mio grande imbarazzo. Perché essendo maggiorenne con gli interessi, per non dire bella che adulta, davo e do per scontato, come tutti, di avere buoni motivi se non voglio mangiare tutto quel che mi mettono sotto il naso. Mia zia comunque è stata ben contenta di darmi insalata e doppia dose di cavolo, però so che se avesse potuto mi avrebbe fatto mangiare tutti i tre i secondi che aveva preparato. E col pane, si, perché non si è fatta scappare il fatto che non l'avessi nemmeno annusato.
La cosa buffa è che anche oggi sono ritornata là per riportare la nipotina. In mancanza di accordi sul rimanere a desinare o meno, davo per scontato il ritorno a casa mia, lei invece pensava che sarei rimasta. E il dialogo che segue, giuro, per me è stato imbarazzo puro.
V: "Ciao, ecco qua la Martina sana e salva...buon pranzo e a presto!"
Z: "Ma come, non rimani con noi?"
V (arrossita per le 5 paja di occhi puntati contro) : "Eeeeh no zia, ma grazie..."
Z: "E perchè?"
V (ormai amaranto) : "Ehm....ehm....ehm...".
Menomale che mi è venuta in aiuto la mia biscugina, che ha detto alla madre di lasciarmi andare a fare le mie cose.
Già, quali sono i motivi per cui una persona mangia poco? Non è certo per la dieta, perchè un pasto a base di cibi sani e genuini non fa certo danni. Ebbene, si legga.
10 - Il corpo "non richiede" di mangiare tanto. Che si prendono a fare due piatti di pasta, quando si sa che ci si sazierà con la metà? Per ritrovarsi con un'orribile sonnolenza da digestione?
9 - Non aver bisogno del contrario. Magari quel giorno si ha meno da lavorare e si torna a casa prima di altre volte, quindi troppa benzina nel serbatoio è, appunto, troppa.
8 - Un disturbo maggiore, come è effettivamente il mio caso, e la zia lo sapeva. Da un mesetto ho una specie di gastrite nervosa, per cui non ho quasi mai fame. Addirittura salto sempre la merenda, che per me è un sempreverde. Dovendo però fare pranzo e cena anche per non svenire, devo però diminuire le mie già non eccessive dosi e ovviamente non riesco a buttar giù i classici "avanzi di vassoio". Per una volta verranno buttati, oh!
7 - Scarsa fame o sazietà preesistente. Capita ogni tanto di fare colazione tardi o di mangiare al lavoro ad un buffet per un compleanno o un matrimonio e quindi di non essere proprio nella giornata giusta per darsi ad un lauto pranzo. Se poi un soggetto normopeso dice di avere poco appetito, perchè gli altri si insospettiscono subito?
6 - Tecnica personale. Faccio parte della categoria di coloro che mangiano con bocca e stomaco piuttosto che con gli occhi. Chi dice che se ora prendo poca pasta, non ne riprenderò ancora fra cinque minuti? O devo per forza colmare subito il piatto?
5 - Estraneità a certe mentalità e conseguenti comportamenti. Non siamo in tempo di guerra né di carestia e ormai l'equazione grasso=bello la si può mettere in soffitta...o anche nel tritarifiuti. Nel terzo millennio il cibo non deve più essere l'unico bene da offrire. E poi, basta con il cofanismo*!
4 - Malumori, dispiaceri, preoccupazioni. Ovvero, le cause psicologiche più frequenti del poco appetito, specie se il soggetto in questione non è un amante della tavola. Una banalità che molti ignorano.
3 - Scarso piacere contingente. Non tutti mangiano tutto ovunque con chiunque. Se poi capitano proprio quelle portate di cui si farebbe volentieri a meno e magari sono pure sgradevoli, rimpinzarsi è davvero una chimera.
2 - Reazione indotta. Vedasi il classico della ragazza cresciuta in un ambiente bigotto che cambia partner nemmeno fossero calzini. Certe cantilene servono solo ad ottenere l'effetto contrario, sia fisicamente che mentalmente. E anzi, fanno venir voglia di farlo apposta: la disappetenza non prevede tolleranza a oltranza.
1 - Relatività. Il poco della zia è il giusto mio, il giusto della zia è il troppo mio. E comunque tengo per me le mie impressioni sulle abbuffate dei miei commensali. Non do grande importanza al cibo, specie in questo periodo. Non vado certo a pranzo dalla prozia perché "ha fatto cose buone e ce n'è a sufficienza per tutti" come crede lei, ma nemmeno, soltanto perché siedo al suo desco, posso straziarmi lo stomaco solo per farla contenta. La dieta? Ormai non c'entra un beneamato, davvero.
* parola usata da Paolo Villaggio in un'illuminante intervista; con questa il comico genovese indicava una tendenza del passato, non ancora caduta, che consisteva nel dare ai figli grandissime porzioni (cofanate, appunto) di cibo, pasta in primis, per compensare una privazione forzata.
Ma io sono l'unica con i parenti tirchi pure nel cibo??
RispondiEliminaAhahahahahaha!!! Tirchi ma proprio tirchi?
RispondiEliminaGuarda Jo, questa mia zia è generosa nel cucinare, ad eccezione dei dolci: li fa con pochissimo burro e quasi zero zucchero, "perchè sono più buoni"...Io invece sono del partito "meglio un boccone di dolce 'vero' che dieci di dolce 'finto'" :D
da piccolo ero anoressico. Oltre a non nutrirmi, avevo la tendenza ad addormentarmi a tavola; abitudine che mio padre cercò di farmi passare mettendomi del ghiaccio dietro le orecchie a ogni occasione (ah, gli adulti). Se ora dovessi esplicare il perché di quell'inappetenza direi che "qualcosa", all'epoca, non andava. Difatti, anche oggi, quando non mi sento sereno la prima cosa che escludo è il cibo. E il disturbo l'ho passato da quasi vent'anni, eh, non sono rimasto il bimbo magrolino di un tempo, quindi so che deve esserci un qualche tipo di collegamento tra l'alimentazione (o l'assenza vista come "punizione", per lo meno per me) e lo stato d'animo a prescindere dal momento di vita preso in esame.
RispondiEliminaLe tue prime 4 parole di questo commento mi sono arrivate come un pugno nello stomaco, ma è un piacere e un onore accogliere qui nel mio spazio qualsiasi confidenza personale.
RispondiEliminaDa relativamente sana, non avendo mai avuto comportamenti alimentari compulsivi, ho sempre notato e rispettato il collegamento fra alimentazione e stato d'animo, peccato che chi si priva viene trattato con superficialità e irritabilità come chi eccede, ma forse con più invasività, per non dire più violenza.