lunedì 16 aprile 2012

Lo stomaco è mio e lo gestisco io

Col mio gruppetto la scorsa estate siamo andati a cena varie volte, fra cui due nel giro di una settimana. Premetto che da tre anni ormai, da luglio a settembre convivo con gonfiori di stomaco, specie dopo che ho mangiato verdura e frutta, ma anche gelato e granite o bevuto birra. Eh si, pur non essendo golosissima devo ammettere che mi tratto bene. Ma la pancetta c'è e rimane con me, su di me fino all'autunno: una trippetta "centrale" con un accenno di manigline e che sporge dai pantaloni. Niente di non camuffabile, però c'è, la vedo e la sento, specie quando si gonfia. Poi a ottobre solo uno dei miei sette jeans mi si chiude, roba che devo ricorrere ai panta-jazz.
Tornando a quelle cene, nella prima succede che ci sediamo a tavola alle 22 e ordiniamo antipasti e pizza. Io mangio tutto, dai carpacci alla mia "frutti di mare", croste escluse, bevendoci una Cocacola in lattina.


Mi alzo da tavola che la pancia mi tira, ma non di cibo, di aria. Una cosa fastidiosa, che mi ha fatta stare intontita e distratta nella passeggiata successiva e che durante la notte non mi ha fatto dormire bene. Anche voltarmi a letto mi era difficile, mi sentivo premere mentre il mio stomaco si prodigava in una rumorosa, lenta digestione.
Ma alla fine va beh, son cose che succedono, mal di poco.
Il sabato successivo si ritorna in pizzeria, stesso gruppo, altro posto. E stavolta, oltre agli antipasti, ordino un'insalata con lattuga e pomodori. Esatto, un'insalata. Perchè di trascorrere un'altra serata col ventre gonfio e tirato non mi andava davvero, era ovvio! E mica è obbligatorio prendere la pizza, no? In fondo eravamo usciti per stare insieme...Dopo i salumi e i crostini, arriva subito la mia verdura in una scodellona di plastica colorata. E già mi sentivo osservata. La mia dirimpettaia mi chiede se avevo davvero ordinato l'insalata. Io asserisco, condisco con olio e sale e inizio a gustarmi il mio gradevole contorno, lentamente e gaiamente. Ma nel mentre sento uno del mio gruppo, uno con cui non parlo molto peraltro, che parla sottovoce di me ai vicini di tavolo, due metri più in là: "Ma che fa quella, la pecora?...Ma che c'è venuta a fare in pizzeria se poi prende l'erba? Poteva restare a casa allora".
Io rimango basita, ero abbastanza vicina da sentire ma troppo lontana per rispondere con tempestività. E la rabbia saliva.
V: Ma come si permette? Che ne sa di me? Come osa giudicarmi, anzi, nemmeno, sbeffeggiarmi coi vicini di tavolo? Potrei avere un'intolleranza, un'allergia, il reflusso gastrico, la nausea, la febbre, l'inappetenza...Per quel che ne sa potrei aver mangiato pizza anche  a pranzo e a merenda, per cui adesso non me ne va un'altra!
Come tipico del mio carattere, mi sfogo con una delle mie bimbe preferite raccontandole quel che avevo sentito e giurandole che non avevo saltato la pizza per snobismo o per dieta, ma solo per non sentirmi poco bene come l'altra volta per l'aria nella pancia, dovuta ovviamente ad una strana reazione del lievito della pizza precedente. Però la rabbia c'era, e mi ha accompagnata per tutta la serata.

In un mondo in cui se ne vedono di tutti i colori, di tutti gli estremi, se una volta una persona preferisce rinunciare a qualcosa non dovrebbe poi essere così evidente, così eclatante. Mangiare poco o poco ghiotto è legittimo come fare l'esatto contrario. Ed io non ho mai chiesto ad amici, conoscenti o altri perchè mangiassero il secondo piatto di pasta, perchè finissero gli avanzi degli altri o come mai vuotassero i cestini di pane già all'antipasto, nè ho perso il mio tempo in commenti e critichine da prima media! E non perchè non vado ai buffet o alle cene, ma perchè proprio non bado a queste cose. Non giudico, quantifico e nemmeno guardo il cibo altrui, penso a dosare (e nemmeno tanto severamente) e gustare il mio.
Un'ultima cosa, non meno importante. Quel tipo di cui sopra sarà a occhio e croce 90 kg, forse di più, ed è il classico mangione, per cui la gran quantità di cibo che divora non mi stupisce: è grosso, è un ragazzo, quindi è naturale che mangi "tanto". Non so se si chiama tolleranza, rispetto o semplicemente buonsenso, ma è lo stesso che vorrei ricevere io, che sono quasi la metà di lui, che mi sfamo e soddisfo con dosi contenute ma adatte a me.

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